Recuperare leggerezza e vitalità partendo da se stessi

Recuperare leggerezza e vitalità partendo da se stessi

Recuperare leggerezza e vitalità in tempi relativamente brevi è possibile, entrando in contatto con quella corrente vitale che scorre dentro di noi. Ci sono tutta una serie di azioni, reazioni ed emozioni che nascono in noi e ci attraversano senza bisogno di alcun intervento della nostra mente. Respiriamo, ci muoviamo, digeriamo, ci emozioniamo anche senza bisogno di scegliere o controllare quanto facciamo.

L’educazione, i traumi che possono subentrare e le emozioni bloccate che spesso ne conseguono, però, di solito allontanano da questo potente movimento interiore, naturale e spontaneo. Scopri con me cosa puoi fare, giorno dopo giorno, per recuperare leggerezza e vitalità partendo proprio da chi sei.

 

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Paure e ferite, consce e inconsce

La paura di essere sbagliati e dunque non amati ed esclusi dagli affetti, dalla famiglia, dalla società, spesso può diventare più forte della corrente vitale. In modo più o meno consapevole ci si creano dei limiti, delle regole di “savoir vivre” basate su ciò che è bene oppure male, giusto o sbagliato, spesso con riferimenti assolutistici. Qualcosa va bene del tutto o per niente, un’azione è bianca oppure è nera. Facciamo questo, anche se spesso non ce ne accorgiamo, per difenderci e per evitare di provare dolore. Questo comportamento, però, spesso ci condanna a un malessere certo (poiché ci allontaniamo da ciò che davvero siamo e sentiamo) per la paura di un dolore incerto (il rifiuto, ipotetico, degli altri).

Se questo è accaduto anche a te, molto probabilmente ora fai fatica a vivere spontaneamente le emozioni e non sai riconoscere il tuo potenziale né sai come esprimerlo a pieno.

Come un bonsai

La tua situazione, comune a molte altre persone, mi ricorda quella di un bonsai. Sei nato con il potenziale per diventare una gigantesca quercia secolare. Potatura dopo potatura, sotto l’influenza di controlli e cure quotidiane, al prezzo salato di un costante indottrinamento e di un grande autocontrollo, con il tuo consenso più o meno conscio, ti è stata cucita addosso un’identità adatta alla società. Il tutto per non disturbare troppo gli altri e forse anche per non attirare troppo l’attenzione.

Questo processo di trasformazione che piega il potenziale spontaneo delle persone e lo plasma in opere idonee alla società, per rispondere al bisogno di controllare e domare la natura selvaggia, richiede una mole di energia enorme. Questo perché è difficile e faticoso contrastare la potenza della vita rigogliosa che scorre dentro ciascuno di noi, e spinge per crescere ed espandersi.

In questo articolo il mio obiettivo è quello di suggerirti una via all’insegna della spontaneità, della naturalezza e dell’autenticità. Perché se ti lasci andare, se rinunci all’autocontrollo e accetti di osservare con curiosità il disvelarsi del tuo potenziale, potrai recuperare leggerezza e vitalità e smetterai di sprecare tanta energia.

Strumenti per recuperare leggerezza e vitalità sulla strada della spontaneità

Di seguito voglio darti alcuni consigli, o forse si tratta piuttosto di strumenti e percorsi, utili a recuperare la leggerezza, il senso vitale e con essi anche la gioia.

  1. Riconosci la tua dignità: sei unica e preziosa, o unico e prezioso. Nessuno nei secoli passati e nessuno nei tempi a venire potrà essere del tutto uguale a te. Quello che sei è importante ma anche quello che non sei ha un perché. Le tue qualità e i tuoi difetti contano. Le tue capacità e le tue incapacità ti definiscono in modo positivo. Sei un mix unico e irripetibile.
  2. Dai legittimità ai tuoi limiti e valore ai tuoi talenti. Un pesce è un pesce, non ha bisogno di camminare fuori dall’acqua o di imparare ad arrampicarsi sugli alberi per vivere le sue esperienze. Sarebbe per lui totalmente inutile e se avesse un talento del genere potrebbe persino smarrire la sua strada.
  3. Ascoltati e mettiti nelle condizioni di percepire cosa accade in te. Essere in contatto con quello che sentiamo ci permette di capire quando una situazione è tossica per noi, cioè consuma la nostra energia inutilmente e mette il nostro organismo in uno stato di allerta. Al contrario, possiamo anche percepire se una situazione è benefica e nutriente, portatrice di maggiore energia e gioia.
  4. Interrogati sui tuoi valori, perché conoscerli è fondamentale. Cosa ti fa sentire bene? Cosa, invece, ti fa stare male? Cos’è intollerabile per te? Chiediti quali attività/persone/luoghi ti danno gioia ed energia e quali invece ti sottraggono energia. Se ti va, metti queste impressioni per iscritto, così da poterle rileggere ogni volta che ne hai bisogno e ricordare i tuoi valori fondanti.

Fare un lavoro in profondità

Oltre agli strumenti e ai consigli del paragrafo precedente, ti suggerisco di predisporti all’ascolto e intraprendere un percorso più approfondito nel tuo io. “Lavora” per conoscere le tue sovrastrutture e per smascherare quelle convinzioni che sono tue ma che non rispettano la tua personalità profonda (il tuo essere). Quali sono le cose che appartengono alla tua educazione e alla tua cultura ma che senti creare un attrito interiore? Se le percepisci come incoerenti e stonano con il tuo essere profondo lasciale andare: il tuo punto di vista unico serve ad arricchire il mondo. Fidati!

Riconnettersi alla propria voce interiore

Quando riusciamo a zittire la mente, a metterla in pausa, possiamo sentire la nostra voce interiore: per quanto piccola è un’ottima alleata, perché ci spinge con gentilezza e perseveranza verso una direzione che è realmente adatta alla nostra anima.

Ci vuole il coraggio di compiere un importante atto di fiducia, perché spesso la voce interiore ci guida su strade non ancora battute. Ti consiglio di esplorare e sperimentare nuovi modi di essere e fare quello che ti viene spontaneo, starai meglio.

Accogliere le emozioni e abbandonare i “dovrei”

Trattenere le emozioni richiede tantissima energia che non può più essere utilizzata per altro. Quando ci sforziamo a non esprimere le nostre emozioni entriamo in uno stato di frustrazione e stress cronico che progressivamente logora sempre di più. Le emozioni, invece, possono essere liberate per favorire il benessere: se vuoi saperne di più ti suggerisco questo approfondimento “come esprimere le emozioni per mantenersi in salute”.

Oltre a lasciar fluire le emozioni dai a te stessa, o a te stesso, la possibilità di mettere da parte tutti i vari “dovrei fare” e “dovrei essere”. Dimentica le ingiunzioni che vengono dall’esterno ma che col tempo hai interiorizzato. Ci sono una serie di azioni che compiamo in modo automatico senza neppure chiederci cosa sentiamo e cosa desideriamo realmente. Riconoscere quando la testa “parte per la tangente”, senza prendere in considerazione cosa comunica il corpo, può essere di grande aiuto per uscire in tempo da un circolo vizioso.

L’esempio del melo

Spesso viviamo con la paura che, se non ci sottoporremo all’obbligo di agire, non faremo mai nulla di buono nella vita: non ci realizzeremo, non porteremo a termine la nostra missione, saremo creature inutili e così via.
Personalmente, quando sono affaticata e ho bisogno di ridimensionare la pressione dovuta all’imperativo di agire, ricordo a me stessa l’esempio del melo.

Il melo non si alza la mattina con l’obiettivo di fare delle mele. Il melo è semplicemente se stesso. Lascia scorrere la vita che gli è propria e che dipende solo da quello che già è, né più né meno. In questo flusso produce gemme, foglie, fiori, frutti… Esprime semplicemente la propria natura, che ci siano animali, umani o qualunque altro essere vivente nei dintorni ad apprezzare o meno le mele.
Non serve che conosca intellettualmente se stesso, non serve che si impegni e faccia fatica, non serve che corrisponda alle aspettative degli altri.
Ciò che secondo me è di grande esempio nella vita del melo, soprattutto, è che mai cercherebbe di produrre ciliegie o albicocche. Anche se qualcuno dovesse dirgli che le mele non sono l’ideale e che invece le ciliegie o le albicocche sono maggiormente amate e apprezzate.

Per recuperare leggerezza e vitalità ispiriamoci al melo e diamoci la possibilità di essere semplicemente e meravigliosamente noi stessi.

Favorire la pace giorno dopo giorno

Favorire la pace giorno dopo giorno

Possiamo favorire la pace nella nostra vita quotidiana e anche nel resto del mondo, partendo da quello che pensiamo, diciamo e facciamo in prima persona. In questo articolo vorrei mostrare una strada che tutti possono percorrere e che ha proprio l’obiettivo di favorire la pace in molti modi e in molte direzioni.

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Una premessa sulla guerra

Prima di parlare di pace vorrei fare una premessa sulla guerra che ritengo importante, per poi nominare la parola guerra il meno possibile nel corso di questo articolo. Purtroppo pace e guerra si alternano senza sosta. Sono anni che osservo la guerra, quella vicina e quella lontana. Dai “piccoli” conflitti tra gli esseri umani vicini a me, e che quindi conosco personalmente, fino ai grandi conflitti internazionali. C’è poi l’abitudine alla guerra contro la malattia, i virus e i batteri diffusa soprattutto in occidente. C’è la guerra tra due o più Paesi, popolazioni, gruppi etnici o religiosi, in zone del mondo che personalmente non ho mai visitato, della cui lingua, cultura e storia personalmente so molto poco.

Sono anni che osservo le persone schierarsi violentemente per o contro una persona, un Paese, un punto di vista e di conseguenza contro chiunque osi avere una visione differente dalla propria. Oppure contro chiunque si azzardi a dichiarare di non avere un’opinione.

Osservando quanto sia contagiosa la violenza e quanto sia facile farsi contagiare e influenzare da emozioni o situazioni come rabbia, odio, carenza di rispetto, mancanza di discernimento, mi sono chiesta molto spesso cosa possiamo fare per favorire la pace, l’equilibrio, l’amorevolezza, il rispetto, la gioia e il benessere.

L’importanza di agire nel qui e ora

La mia risposta, per quanto di vasta portata, è semplice. Possiamo favorire pace, equilibrio, amorevolezza, rispetto, gioia e benessere, agendo all’interno della nostra vita quotidiana. Quando e se lo facciamo, partecipiamo all’incremento di sentimenti e situazioni positive e benefiche che migliorano la qualità della vita di chiunque nel mondo, vicino e lontano rispetto a noi. Primo perché se anche una sola persona sta meglio ed è più sana, la popolazione globale è di conseguenza più sana. Secondo perché pace, amore, rispetto e gioia sono anch’essi contagiosi.

Nel qui e ora è dove possiamo agire: lì è dove abbiamo potere. So che ne sei consapevole, ma capita di dimenticarselo. Anzi molte persone se lo dimenticano e quindi ci tengo a ripeterlo. Non puoi cambiare gli altri: né quelli vicini né quelli lontani; tuttavia, lavorandoci su, puoi cambiare te stesso. L’obiettivo non è cambiare quello che sei, ma tornare a essere maggiormente quello che sei: favorire l’espressione del tuo potenziale luminoso.

Nel qui e ora è dove possiamo agire: lì è dove abbiamo potere

Favorire la pace accrescendo il potenziale di luce

La prima tappa, quella più importante, è accogliere quello che sei. Non c’è quasi nulla di più sfiancante e controproducente che lottare contro se stessi. La lotta contro te stesso ti condanna alla guerra ventiquattr’ore su ventiquattro, sette giorni su sette. Nessuna tregua fino alla fine della vita.

Favorire la pace con te stesso, vuol dire in prima istanza accoglierti, accettando i lati luminosi ma anche quelli oscuri e difficoltosi: i paradossi, le insicurezze, le incoerenze. Accogliere le tue emozioni senza sentirti in qualche modo obbligato a scaricare la responsabilità sugli altri. Vuol dire, piuttosto che “è lui/lei che mi fa sentire così”, provare a dire “io mi sento così”.
Riconoscere quello che si muove in noi, farne l’esperienza, lasciarsi attraversare è il primo passo per favorire la pace.

Superare gli ostacoli di un’educazione poco accogliente

Molti di noi non sono stati affatto educati all’accoglienza di se stessi e delle proprie emozioni. Siamo esseri sociali, di conseguenza appartenere a un clan e sentire di avere un posto riconosciuto da tutti all’interno della società è molto importante. A volte, però, questa necessità si trasforma in ansia che viene riversata sui figli e si rischia di non accoglierli con curiosità, per assistere in modo semplice e senza preconcetti allo sbocciare del loro potenziale.

Al contrario, si agisce (inconsapevolmente o meno) schiacciandoli con aspettative e pretese parentali. Troppo spesso, i genitori hanno molto chiaro quello che i propri figli dovrebbero fare e quello che dovrebbero essere per adattarsi e farsi apprezzare dalla società.

Troppo spesso, i genitori hanno molto chiaro quello che i propri figli dovrebbero fare

Una scuola che ignora molte delle intelligenze

La scuola e i voti diventano un criterio per valutare non solo il valore del figlio ma anche dei genitori. La scuola è spesso un luogo competitivo, dove si viene facilmente etichettati come falliti se i risultati non sono all’altezza delle aspettative. Tra i diversi problemi c’è il fatto che la scuola si concentra quasi esclusivamente su due intelligenze: quella logico-matematica e quella linguistica, quando invece secondo il docente e psicologo Howard Gardner ne esistono almeno nove. Di conseguenza, chi ha un’eccellente intelligenza spaziale o interpersonale, musicale, corporea-cinestetica, intrapersonale, naturalistica ed esistenziale non è valutato come un individuo adeguato dalla scuola. E il confine tra il fatto che un individuo non adatto alla scuola (così come oggi è organizzata!) non possa integrarsi o essere felice è molto spesso superato da insegnanti e genitori.

Possiamo fare qualcosa per favorire la pace in questo contesto? Assolutamente sì. Favorire la varietà dell’insegnamento per favorire l’espressione di tutte le intelligenze può essere una strada. Dare valore all’educazione emozionale e all’intelligenza intrapersonale è un’altra direzione percorribile, soprattutto se pensiamo al fatto che quest’ultima intelligenza rappresenta la capacità di riconoscere la propria individualità, sentire cosa accade dentro di sé e riconoscere le proprie risorse e i limiti.

Consiglio a tutti di accogliere i figli con maggiore fiducia e curiosità. Anche se sono membri della famiglia, potenzialmente hanno talenti, destini e strumenti molto diversi dai genitori e dai nonni.

Accogliere se stessi per accogliere gli altri

Per potersi accogliere serve osare, incontrare, ascoltare e conoscere se stessi. Più sarai capace di accogliere te stesso ed essere in pace, più sarai capace di accogliere gli altri ed essere in pace con loro.

Già a scuola si possono aiutare bambine, bambini, ragazze e ragazzi a sviluppare la capacità di accogliere le proprie emozioni, riconoscerle e coltivare le competenze relazionali e di comunicazione e trasformazione dei conflitti.

Perché sia possibile, servirebbe che gli insegnanti in primis fossero competenti su questi aspetti. La buona notizia è che se anche da adulto non padroneggi queste competenze non è mai troppo tardi per svilupparle. Non conosco miglior investimento sul proprio benessere e sulla propria salute che quello di acquisire nuovi strumenti per avere relazioni sane con se stessi, le proprie emozioni e ovviamente anche gli altri.

È possibile così aumentare la capacità di mantenere un equilibrio dinamico nella vita e partecipare alla creazione di un presente di pace. E si può anche essere di sostegno come adulto nei confronti dei bambini, che sono gli adulti di domani e saranno i protagonisti nella costruzione del futuro.

Possiamo migliorare in qualunque momento le competenze relazionali e di trasformazione dei conflitti

Combattere la guerra o fare pace?

Quando ci diamo un obiettivo, non è importante solo l’obiettivo in sé ma anche il modo che scegliamo per perseguirlo e così le parole che usiamo per pensare a questo obiettivo. Quando combatti la guerra con le armi della distruzione, alimentando rabbia e odio, non puoi raccogliere che altra rabbia e ancora odio.

Se non c’è coerenza tra il tuo scopo e gli strumenti che usi per cercare di raggiungerlo, l’obiettivo si allontanerà da te sempre di più. Per questo è fondamentale che la strada per la pace sia costruita con sentimenti e azioni di pace, lontani anni luce dalle armi e dalla distruzione. Per riuscire in qualunque impresa deve esserci coerenza tra fine e mezzi.

Un altro ingrediente fondamentale per favorire la pace riguarda ancora una volta noi stessi, Per favorire la pace in modo attivo ed efficace, infatti, dobbiamo essere in pace, rispettare i nostri valori e nutrire ciò che ci rende felici. Solo così possiamo trovare la forza per perseguire obiettivi anche molto difficili da raggiungere, sentendoci sempre in accordo con noi stessi. Tutto questo è proprio il contrario del proverbio machiavellico “il fine giustifica i mezzi”. Come diceva Gandhi: “tali i mezzi, così i fini”; in altre parole, quel che semini raccoglierai.

Se hai bisogno di incitare te stesso lungo un cammino complesso, piuttosto di immaginare che stai “lottando contro qualcosa” pensa invece che ti stai “battendo per qualcosa”.

Da dove arriva un punto di vista?

Di fronte a un punto di vista, ti propongo di porti ogni volta alcune domande. Il punto di vista per il quale stai combattendo ferocemente, nasce da una tua esperienza personale diretta? Se non è un’esperienza diretta, sei sicuro della validità delle tue fonti di informazione? Sei sicuro che quello che ti è stato detto o mostrato sia reale?

Purtroppo, la televisione e i media in generale sono mezzi di trasmissione di massa (non di comunicazione: la comunicazione è altra cosa), che focalizzano l’attenzione sul pericolo e il dramma, favorendo la dualità. Quando stiamo assistendo in prima persona e dal vivo a una situazione, abbiamo già un punto di vista ridotto. Nonostante sia possibile guardare a destra, a sinistra, davanti e dietro, mi piace dire che vediamo la realtà dal buco della serratura.

La parzialità dell’informazione aumenta drasticamente quando la realtà è trasmessa tramite una videocamera: il cameraman può scegliere un angolo specifico per mettere in evidenza qualche dettaglio e nasconderne altri, veicolando così alcune emozioni e orientando le interpretazioni.

Visti i rischi di manipolazione, volontaria o meno, credo sia saggio dubitare, prima di prendere un’informazione parziale come base o fondamenta della propria lotta. La mia proposta è di verificare le fonti e studiare approfonditamente: è bene riconoscere la complessità delle situazioni.

Quando non hai tempo e voglia di approfondire, autorizzati a dire “non lo so”, “non sono abbastanza informato per avere un’opinione su questo argomento”, non posso sapere “chi ha ragione e chi ha torto“. Potrai, immagino, trovarti d’accordo con molte persone sul fatto che la guerra è un dramma e che sarebbe molto bello trovare insieme soluzioni per favorire la pace.

Non sempre possiamo essere sicuri che quello che ci è stato detto o mostrato sia reale

Conflitti lontani e conflitti vicini

Ispirandomi a una frase attribuita a Madre Teresa di Calcutta, vorrei ricordare che “se tutti pulissero davanti alla propria porta di casa, il mondo sarebbe pulito”. Ti suggerisco di dedicare tempo ed energia per trasformare i conflitti in cui sei direttamente coinvolto, quelli davanti alla tua porta di casa. Parlo dei conflitti con i membri della tua famiglia di origine, con quelli della tua famiglia acquisita, con i colleghi di lavoro, con i vicini di casa e così via.

Trasformando i conflitti nel tuo ambito di azione, farai molto di più per la pace nel mondo rispetto a quando, per esempio, nutri odio per degli sconosciuti che vedi in televisione. Esistono conoscenze fondamentali tratte dagli studi sulla pace che trasformano una missione che sembra impossibile in un percorso pieno di soddisfazioni. Non serve essere un esperto: queste conoscenze sono accessibili a tutti. Se risparmi tempo ed energia evitando di alimentare rabbia, separazione, guerra, conflitti e odio, libererai tempo ed energia per studiare come favorire la pace.
Una goccia alla volta, un essere umano alla volta, la trasformazione diventa possibile.

Gran parte della mia attività professionale ha questo intento: aiutare le persone a creare pace, gioia e serenità, in sé stessi e intorno a loro. Per iniziare subito questo percorso prova a prenderti cura di te stesso favorendo rilassamento e benessere.

Favorire la guarigione, le azioni dei curanti

Favorire la guarigione, le azioni dei curanti

Favorire la guarigione: come professionisti dobbiamo compiere delle azioni per andare in questa direzione. Esistono anche azioni che esulano dai protocolli, dai medicinali, dalle terapie? Oggi, ho voglia di condividere con i colleghi dei consigli concreti per favorire il processo di guarigione del corpo e della mente. Nell’articolo precedente, rivolto al grande pubblico ma adatto anche ai professionisti, ho spiegato come ogni reazione di adattamento del corpo di fronte agli eventi della nostra vita sia un processo in due fasi. La prima è una fase attiva, di stress, in cui l’organismo si adatta alla situazione stressante, seguita da una seconda fase in cui l’organismo emerge dalla situazione stressante e finalmente si rilassa.

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Come ho già sottolineato la seconda fase, quella di vagotonia, è una fase “calda” che possiamo chiamare “di riparazione”: è accompagnata, quindi, da infiammazione ed edemi. Una situazione che i medici conoscono bene perché di solito è il momento in cui sono chiamati ad intervenire. Paradossalmente, spesso i dolori o l’infiammazione emergono proprio quando si esce da un periodo di stress e non durante.

Come accompagnare il processo di riparazione

Anche se possiamo dire che “i giochi” si fanno durante la fase attiva, quella di stress, ci sono comunque delle azioni che sia i pazienti sia i medici o più in generale i curanti possono compiere per guarire o comunque supportare la guarigione durante la fase di riparazione. In particolare, è possibile accompagnare il processo per limitare i disagi e la sofferenza.

La conoscenza combinata della Biologia, di questo peculiare andamento bifasico, dei processi cerebro/emotivo/organici e dei ritmi biologici permette di individuare quelle situazioni che rischiano di aggravare l’intensità dei sintomi e il circolo vizioso della paura.

Da queste conoscenze possiamo comprendere l’importanza di alcune situazioni e gesti che potrebbero essere considerati a torto cose senza grande importanza. Vediamo ora insieme quanto e perché è importante fare in modo che la persona malata si senta al sicuro e sperimenti la fiducia di poter migliorare.

Essere come un pesce fuor d’acqua

Il quadro di cui vi voglio parlare in questo articolo descrive una situazione che aumenta l’intensità dei sintomi, e può rendere la fase di riparazione un percorso molto complicato. Ciò si verifica quando la persona malata vive una situazione d’insicurezza. Più precisamente quando la persona perde i suoi punti di riferimento e percepisce di essere in lotta per la sua esistenza, come un pesce fuor d’acqua.

Il senso di solitudine in generale e più specificamente l’impressione di essere solo a lottare per la propria esistenza peggiora ulteriormente il quadro.

Quando un pesce si ritrova fuori dall’acqua, il suo organismo trattiene i liquidi nel tentativo di sopravvivere per il tempo necessario a ritornare nel suo ambiente naturale. Nelle condizioni emotive di insicurezza e perdita dei punti di riferimento, anche l’organismo umano trattiene i liquidi. Questo senso di lotta per l’esistenza e di insicurezza aumenta tutti gli edemi e l’intensità dell’infiammazione. La seconda fase, quella di riparazione, diventa allora maggiormente sintomatica.

L’insicurezza che fa reagire l’organismo è un’insicurezza viscerale. Ciò significa che entra in gioco il nostro animale interiore, non il nostro essere razionale pensante. Ci vorranno azioni concrete e pragmatiche per rassicurare l’animale interiore.
Ecco qualche esempio concreto che mette a confronto persone che si sentono visceralmente al sicuro e persone che invece si sentono come un pesce fuor d’acqua. Un trauma che comporta sofferenza ai legamenti del ginocchio che si esprime solitamente con un piccolo edema si esprimerà attraverso un edema intenso con ampio travaso quando la persona che lo subisce sperimenta una situazione di insicurezza. La stessa persona sperimenterà un dolore pari a 10 su 10 quando invece in un contesto di sicurezza e serenità il dolore potrebbe essere pari appena a 2.

Una leggera anemia diventa un’anemia severa. Un leggero sovrappeso diventa un’obesità vera e propria. Una semplice evacuazione diarroica diventa una dissenteria con fitte molto dolorose. Un piccolo disorientamento temporo-spaziale effimero diventa uno stato di costernazione costante in cui il paziente può sembrare demente eccetera. Gli esempi che possiamo fare sono infiniti.

Il senso di solitudine in generale e più specificamente l’impressione di essere solo a lottare per la propria esistenza peggiora ulteriormente il quadro

Il circolo vizioso

Oltre ai sintomi difficili da sopportare, un dolore di intensità 10 su 10, per esempio, può spaventare molto, la vita diventa più faticosa e la persona che lo prova può sentirsi concretamente in pericolo. Per non parlare della diagnosi di un’anemia severa. Diventa molto facile in questi contesti entrare in un circolo vizioso infernale, in cui i sintomi, la cui intensità è aumentata dall’insicurezza, fanno sentire prepotentemente il senso di pericolo.

Quando una situazione del genere si moltiplica per 3 o 4 sintomi e cause differenti il paziente si può sentire totalmente sopraffatto e dominato da un’angoscia viscerale.

 Il contesto dell’ospedale

Vorrei ora attirare la tua attenzione su un luogo in cui una persona malata può sentirsi molto facilmente un pesce fuor d’acqua: l’ospedale.

Per il curante che lavora da tempo in ospedale, la struttura è un ambiente conosciuto e normale. Ogni individuo che ci lavora, per esempio, conosce i codici dei colori dei camici, spesso conosce bene le altre persone impiegate, gli ambienti gli sono famigliari così come le regole comuni. Il linguaggio tecnico è condiviso. Il curante può sentirsi a proprio agio e al sicuro in questo ambiente famigliare, per lui o lei è facile orientarsi! Come accade a un pesce nel proprio ambiente.

Tutto cambia per chi arriva in pronto soccorso a causa di un problema di salute. All’insicurezza percepita per il sintomo o il problema di salute, che ha spinto il paziente a presentarsi al pronto soccorso, si somma quella di trovarsi in un ambiente molto diverso da casa. Coloro che si ritrovano in pronto soccorso o ricoverati, percepiscono spesso l’ospedale come una terra sconosciuta.

Prova a immaginare. Per la maggior parte del tempo le persone care non sono con il malato. Il personale sanitario e gli altri pazienti sono perfetti sconosciuti. Il linguaggio tecnico medicale, per chi non è dell’ambiente, è incomprensibile. La struttura ospedaliera può sembrare un labirinto, in cui spostarsi e orientarsi diventa una sfida. Rapidamente, l’animale interiore di chiunque si può sentire un profugo in terra sconosciuta e attivare l’input a trattenere i liquidi.

All’insicurezza percepita per il sintomo, in ospedale si somma quella di trovarsi in un ambiente molto diverso da casa

Cosa fare per favorire la guarigione?

L’antidoto più efficace è il senso di sicurezza. Questo aiuta a guarire e attenuare i sintomi. Bisogna agire per sentirsi e far sentire il malato come a casa, al sicuro e sostenuto.

Le conoscenze e le competenze tecniche medicali dei professionisti in ospedale, che permettono al paziente di sentirsi nelle mani di persone preparate e serie, sono ovviamente importanti. Però non bastano. Cos’altro può aiutare a far sentire il paziente al sicuro e sostenuto?

Al paziente serve un curante che abbia quelle che si chiamano soft skills. Le soft skills sono le competenze relazionali, o competenze trasversali. Hanno a che fare con il saper essere piuttosto che il saper fare. Sono abilità personali e tratti del carattere che caratterizzano le relazioni fra le persone. E sono complementari alle competenze tecniche. Queste competenze possono essere innate, ma si imparano e si acquisiscono anche, come vale per ogni insegnamento tecnico: con studio serio e dedizione. Insegnarle è parte del mio impegno professionale.

Alcuni esempi concreti per aiutare a guarire prima e meglio

Facciamo alcuni esempi per chiarire cosa aiuta il paziente a sentirsi al sicuro con l’obiettivo di favorire la guarigione. Sto parlando ad esempio di: qualità della relazione, tempo dedicato, sguardo rassicurante, sorriso complice, il semplice fatto di essere tenuto per mano in un momento di ansia, ricevere spiegazioni chiare senza paroloni medici. In pratica… Per favorire la guarigione il paziente ha bisogno di confrontarsi con curanti umani, calmi, seri ed empatici.

Si comprende allora tutta l’importanza del saper comunicare e creare una relazione di fiducia, in cui la persona si sente presa in considerazione: ascoltata, rispettata e sostenuta. Un’altra cosa che consiglio sempre è chiamare la persona malata con il suo nome/cognome evitando espressioni come “quello del 37 finestra” o “la frattura del femore della stanza 42”.

Imparare a comunicare, creare una relazione di fiducia, chiamare la persona con il proprio nome sono tutte azioni concrete per favorire la guarigione

Diventa lampante anche l’importanza di autorizzare le visite di parenti e amici rassicuranti. (A questo scopo, la salvaguardia degli ospedali di periferia, vicini al domicilio delle persone, permette ai cari di fare regolarmente visita e favorire la guarigione dei malati). Altro elemento di grande valore è il ruolo dei volontari, pronti a dare informazioni a una persona apparentemente smarrita o a fare due chiacchiere con chi si trova solo.

L’ospedale non sarà mai come casa propria. Anzi: dev’essere il più possibile un luogo di passaggio in cui stare il minimo possibile. Ma quando il ricovero è necessario, è importante che il nostro animale interiore, quello che dirige la nostra biologia, si senta al sicuro.

Consigli pratici per favorire la guarigione

Oltre alla qualità dell’ESSERE del personale sanitario e dei volontari, non va sottovalutata l’importanza di lasciare alla persona in cura qualcosa che le ricordi casa sua (se è per lei/lui un luogo sicuro). Una coperta, un quadro con la foto di un parente, un amico o un animale domestico, oppure un altro oggetto famigliare. Un semplice esemplare della Settimana Enigmistica potrebbe anche bastare se la persona ne è un appassionato. Sogno un giorno in cui, nella prassi normale di accoglienza del paziente in ospedale, tra tutte le domande propriamente medicali poste al paziente ci sarà anche questa: desidera qualcosa da casa che potrebbe portarle un suo parente o un amico?

Nel momento dell’urgenza, quando non capiamo cosa accade al nostro corpo, sentirsi nelle mani di persone preparate e serie è la condizione prioritaria che allenta l’insicurezza. Passata l’urgenza, casa diventa il luogo privilegiato.
Infine, poiché siamo tutti diversi, va sottolineato che, per alcune persone, l’ospedale è il luogo più rassicurante. Specie per coloro che non hanno un sostegno a domicilio. Invece per tutti gli altri, che vivono situazioni armoniose, il luogo in cui si sentono più al sicuro, passata l’urgenza, è appunto casa loro.

Il fenomeno è molto evidente per gli anziani; spesso vanno incontro a veri e propri squilibri e peggiorano rapidamente quando sono strappati dal loro ambiente conosciuto. Lontani dalla loro casa, con i loro fiori e gli animali da curare, i ritmi consolidati, le routine su misura, deperiscono a vista d’occhio. Perdere i riferimenti li fa sprofondare in uno stato di costernazione e disorientamento spazio-temporale tale da non riconoscerli dopo soli due giorni di ricovero.

Il ricovero a domicilio

Di solito, il tempo delle cure vere e proprie, durante un ricovero, è di poche ore. Gran parte della giornata è fatta di tempi “morti”, in cui la persona aspetta che passi il tempo fra due visite, due esami o due trattamenti.

Facendo tesoro di queste informazioni, diventa evidente l’importanza di favorire il ricovero a domicilio. È ovviamente fondamentale che la persona malata venga seguita. Sogno un futuro prossimo in cui il sistema sanitario e più specificamente la medicina di territorio saranno organizzati molto bene a riguardo. Passata l’urgenza, quando la situazione a casa è propizia, potremmo allora proporre ai pazienti di essere seguiti dal proprio medico di fiducia o da una squadra sanitaria ad hoc, a casa propria. Tutto il tempo libero dalle cure sanitarie diventerà tempo speso in un luogo conosciuto, amato e famigliare, dove la persona potrà beneficiare della presenza dei propri affetti, oggetti e ambienti.

A casa tutto il tempo libero dalle cure sanitarie diventa tempo speso bene in un ambiente dove ci si sente al sicuro

L’esperienza dei curanti durante l’epidemia covid 19

L’esperienza recente ci ha mostrato quanto è stata vincente la cura dei pazienti a domicilio. L’attivazione di squadre sanitarie che operano erogando visite regolari e il supporto della telemedicina e dei colloqui telefonici hanno fatto sentire le persone malate sostenute e più al sicuro.

Invece, le persone che si sono sentite abbandonate dal proprio medico e dal sistema, con il divieto di presentarsi in ospedale per evitare di “occupare un posto” o “creare affollamento”, hanno avuto sintomi molto più intensi con un conseguente peggioramento e spesso esiti drammatici.

Partendo dalle informazioni condivise in questo articolo, si comprende anche l’aspetto biologico che spiega perché la comunicazione martellante dei media, che alimentava l’angoscia e l’insicurezza, sia stata dannosa e abbia trasformato un evento potenzialmente complicato in un dramma collettivo. Di fatto i media hanno ostacolato e rallentato la guarigione con il loro atteggiamento allarmistico. Spero che qualche giornalista o editore legga questo articolo e prenda coscienza del proprio potere sulla salute delle persone, così da usarlo d’ora in poi con cuore, serietà e consapevolezza.

In conclusione

Ogni persona e ogni azione che permetta al paziente di sentirsi al sicuro e sostenuto favorisce la guarigione. Questo perché aiuta concretamente ad attutire l’intensità dei dolori, degli edemi, dell’infiammazione e di qualunque sintomo proprio della fase di riparazione. Far sì che questo aspetto sia totalmente integrato nel percorso di cura è un potente contributo al processo naturale di autoguarigione. E anche un sostegno reale alle cure mediche propriamente dette.

Come prevenire le malattie, fin da oggi

Come prevenire le malattie, fin da oggi

Prevenire le malattie è possibile? Ci sono delle azioni che possiamo mettere in pratica e che aiutano concretamente a fare quella che comunemente viene chiamata prevenzione?

La buona notizia è che ci sono delle cose che puoi fare per raggiungere questo obiettivo, che poi coincide con quello di coltivare salute e benessere, di cui spesso parlo in questo blog. Probabilmente, però, queste azioni non sono quelle che pensi e sono piuttosto lontane da quanto il sistema sanitario comunemente chiama “prevenzione”. Ma facciamo un passo alla volta, partendo da qualcosa che tutti conosciamo bene.

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La medicina convenzionale occidentale, così com’è organizzata oggi, è essenzialmente una medicina d’urgenza o comunque che interviene quando compaiono dei sintomi. Il medico non è quel professionista che possiamo consultare con l’obiettivo di mantenerci in buona salute.

In effetti, prendi un appuntamento con il tuo medico di base quando non ti senti bene oppure quando il tuo corpo, in qualche modo, ti sta parlando attraverso la manifestazione di sintomi che non sai interpretare. Talvolta se il sintomo ti sembra chiaro chiami direttamente uno specialista per indagare più a fondo nella patologia che pensi di avere. Tutto questo però non serve a prevenire le malattie.

La medicina occidentale convenzionale è soprattutto una medicina d’urgenza

Manca una cultura della prevenzione

Spesso mi stupisco di sentire utilizzare la parola prevenzione, quando invece quello che la medicina convenzionale occidentale fa non è vera prevenzione. Tutt’al più è diagnosi precoce, come nel caso degli screening per verificare lo stato di alcuni organi o tessuti. Oppure si tratta, piuttosto, di vere e proprie terapie farmacologiche, come le statine per contrastare il colesterolo, che possono provocare diversi effetti collaterali (per fare un esempio).

In occidente, non c’è una vera cultura della prevenzione come accade invece in oriente, grazie alla medicina cinese o ayurvedica. La prevenzione è proprio il focus di queste medicine che ho citato. Al punto che anni fa, quando ho studiato la medicina cinese, ho imparato che i medici cinesi tradizionali si facevano pagare per prevenire la malattia, mentre lavoravano gratuitamente nel momento in cui il loro paziente si ammalava. Esiste anche un detto che conferma questo approccio: Curare la malattia è come iniziare a scavare un pozzo quando si ha sete.

La soluzione nel cambiamento

Penso che l’assenza dell’integrazione di un approccio realmente preventivo sia una delle cause della saturazione del sistema sanitario attuale. Proprio poiché la cura si attiva quando le persone si ammalano, il sistema non riesce più a rispondere alla domanda. Si parla tanto di spese sanitarie troppo alte e di problemi di budget che non consentono di assumere ulteriore personale sanitario, mentre rivalutare dove e come si investe potrebbe rappresentare una svolta sana ed efficace.

Sottolineo intanto che prendere in cura una persona malata per riportarla a un equilibrio salutare è molto più dispendioso, economicamente ed emotivamente (sia per i professionisti sia per i pazienti) che aiutarla a mantenersi in salute.

In questo articolo vorrei presentarti un aspetto di quello che dal mio punto di vista rappresenta la vera prevenzione. Voglio offrirti spunti utili per riprendere in mano il potere sulla tutela della tua salute, partendo dalla conoscenza di te stesso. Così potrai prevenire le malattie. Ma prima, ecco qualche informazione di base sul funzionamento dell’organismo, per comprendere gli strumenti che voglio darti.

Poiché la cura si attiva quando le persone si ammalano, il sistema sanitario non riesce più a rispondere alla domanda

Tre livelli: cerebrale, emotivo e organico

In una situazione del tutto normale, ad ogni istante il cervello riceve ed elabora miliardi di informazioni. Nel caso tu abbia tendenza a sottovalutare l’attività del tuo cervello, ti fermo subito: sappi che mette in gioco 1 miliardo e mezzo di connessioni ogni nanosecondo. Nel momento in cui ricevi un’informazione, miliardi di cellule si attivano e qualcosa si muove in te: occhi, bile, dita, bocca… Di fronte a ogni stimolo sono tre i livelli dell’organismo che vengono messi in gioco: cerebrale, emotivo e organico.

Una zona del cervello si attiva per ricevere ed elaborare l’informazione. Si vive una percezione, in modo cosciente oppure no, e parte immediatamente un ordine neurologico per stimolare l’azione di una parte del corpo specifica: un muscolo, una ghiandola, il tessuto di un organo eccetera. Le informazioni arrivano a volte in modo percepibile dalla coscienza come, ad esempio, il canto di un uccello, il sorriso di una persona, la sensazione della pioggia sul viso, il gusto di un biscotto, e così via. Altre volte sono inconsce, come i pollini nell’aria, un dettaglio nel nostro campo visivo sul quale non stiamo portando l’attenzione, i nutrimenti contenuti nel biscotto, un’informazione vibrazionale eccetera.

Di fronte ad ogni informazione ricevuta, l’organismo vive un percepito biologico e/o emotivo, anch’esso a volte conscio, a volte inconscio. L’organismo, per esempio, percepisce, senza bisogno che il fatto arrivi alla coscienza, se un cibo è tossico o vitale. Percepisce anche se un suono è piacevole o disturbante… In questo caso a volte il suono arriva alla coscienza, e così anche il percepito, altre volte tutto succede nella totale inconsapevolezza.

Le azioni biologiche automatiche

La ricezione dell’informazione crea contemporaneamente delle azioni biologiche automatiche. Appena ricevuta un’informazione, infatti, il cervello lancia degli stimoli nervosi ad alcune parti del corpo. A volte queste azioni e i loro effetti sono visibili: ad esempio passare la mano nei capelli, grattarsi l’orecchio, starnutire.

Altre volte, invece, sono del tutto invisibili. Per esempio, la contrazione dello stomaco, la dilatazione di un’arteria, il rallentamento del battito cardiaco, l’aumento della produzione di ormoni della tiroide e così via. Ad ogni stimolo, per riassumere, corrispondono un percepito e un’azione biologica. Stiamo parlando di miliardi di stimoli al secondo, cioè miliardi di processi e di triadi percezione-vissuto emotivo/biologico-azione.

Cosa accade in una situazione di stress breve e contenuto?

Gli stimoli, nel nostro vissuto quotidiano, sono più o meno intensi e lo stesso vale per le nostre reazioni. In una situazione di stress contenuto, quasi equiparabile a quello fisiologico e necessario per essere svegli e reattivi giorno dopo giorno, il corpo funziona in modalità di routine. Si alternano momenti di stress e di rilassamento. Tutto rimane nell’ambito della normalità.

Di alcuni momenti di stress siamo consci. È il caso, ad esempio, dello stress legato al fatto di guidare nel traffico e vedersi sbucare di fronte un’auto all’improvviso. Non appena gestito l’imprevisto ci rilassiamo. Lo stesso vale per lo stress che vivi quando devi parlare in pubblico e spiegare concetti complessi: se ti è capitato, sai che ti rilassi non appena vedi che chi ti sta di fronte capisce e ti sta seguendo, oppure quando finisce l’intervento. Anche lo stress per un figlio che vive un momento di difficoltà funziona in questo modo. Quando il momento è superato si torna in uno stato di rilassamento. Gli esempi che potremmo fare sono infiniti.

Gli stimoli, nel nostro vissuto quotidiano, possono essere più o meno intensi e lo stesso vale per le nostre reazioni

Un processo bifasico

In questa alternanza di stress e rilassamento riconosciamo un processo bifasico, cioè in due fasi. La prima corrisponde a quella dello stress attivo. In base al tipo di vissuto, durante questa fase l’organismo aumenta o diminuisce la funzione di un organo o di una ghiandola, per esempio. Può anche aumentare o diminuire il numero di cellule di un tessuto specifico. Tutto dipende dalla tipologia di vissuto psico-biologico e dall’origine embriologica del tessuto coinvolto.

Durante la seconda fase, la fase di vagotonia (cioè quando ti rilassi perché non sei più stressato a causa dell’evento che aveva generato tensione), l’organismo compie l’azione opposta rispetto a quella osservata in fase attiva. In pratica: se durante la fase di stress attivo il corpo aveva aumentato la funzione di un organo o di un tessuto, nella successiva fase di rilassamento la funzione tornerà al livello normale, a volte calerà addirittura drasticamente.

Se durante la fase di stress attivo l’organismo aveva aumentato il numero di cellule fino a creare un ispessimento o una massa, in fase di rilassamento il corpo eliminerà queste cellule, diventate oramai inutili. Viceversa, quando durante il momento di stress vengono eliminate alcune cellule, assottigliando un tessuto o creando delle ulcere, in fase di vagotonia il tessuto ricrescerà e le ulcere saranno richiuse.

L’intensità dei sintomi della fase di riparazione

La seconda fase, quella di vagotonia, che possiamo identificare come una fase di riparazione, è una fase calda. Essa cioè è accompagnata da edemi e infiammazione. Paradossalmente, spesso i dolori o l’infiammazione emergono proprio quando ci rilassiamo, dopo un periodo di stress. Ti è mai capitato di ammalarti proprio nei primi giorni delle vacanze, dopo mesi di sovraccarico lavorativo? Oppure hai sofferto di mal di testa nel fine settimana, dopo giorni di tensione?

Spesso, i sintomi infiammatori della domenica sera o del lunedì sono correlati a una situazione vissuta in modo stressante durante il weekend. Viceversa, i sintomi dei giorni di riposo sono correlati a una situazione vissuta in modo stressante durante la settimana lavorativa. Le reazioni infiammatorie ed edematose a seguito di stress brevi (di pochi secondi o minuti) e poco intensi, sono di fatto asintomatiche. Non sentiamo sintomi specifici oppure sono così lievi ed effimeri che passano inosservati. Ma non è sempre così.

Spesso dolori e infiammazione compaiono proprio quando ci rilassiamo

A una ricezione intensa corrisponde una reazione intensa

Di fronte a una situazione in cui lo stress generato è elevato e duraturo (giorni, mesi, anni…), l’organismo adatta comunque il suo funzionamento. Le reazioni organiche però diventano più intense e persistenti. Da qui dipende ciò che percepiamo come sintomi, che a volte coinvolgono vere e proprie modifiche organiche come masse, addensamenti dei tessuti o ulcere.

Tali cambiamenti non solo li sentiamo, ma possiamo anche osservarli grazie agli esami clinici (auscultazione, palpazione e simili) e paraclinici (esami biologici di laboratorio, esami di diagnostica per immagini come radiografie, ecografie, tac eccetera). Che lo stress sia lieve e breve o intenso e duraturo, si ripete sempre il paradigma dei 3 livelli: cerebrale, emotivo e organico.

Se la fase di riparazione in seguito a uno stress lieve e breve è spesso asintomatica, quella in seguito a uno stress intenso e duraturo può essere molto sintomatica. Si, la fase di riparazione è solitamente la fase la più difficile da vivere, poiché si hanno maggiori sintomi come dolori, infiammazione, limitazioni funzionali. Al di fuori dei check-up a cui potresti aver l’abitudine di sottoporti in assenza di sintomi, questo è il momento in cui di solito ti preoccupi e prenoti delle indagini aggiuntive. Magari in questa fase vengono anche diagnosticate delle malattie.

Non sapendo che questi sintomi fanno parte di un processo sensato, pazienti e curanti si possono spaventare. Di conseguenza, capita che i sintomi e le diagnosi portino le persone a vivere nuovi stress intensi e duraturi, che scatenano ulteriori reazioni del corpo. Si può così entrare in un circolo vizioso dovuto alla mancanza di consapevolezza e alla paura della malattia e dei suoi sintomi.

Di fronte a uno stress elevato e duraturo le reazioni organiche diventano più intense e persistenti, sono ciò che chiamiamo sintomi

Prevenire l’intensità e la durata della fase attiva di stress

La fase di riparazione da sola non può esistere. Accade solo come conseguenza alla fase attiva di stress e si manifesta quando la persona finalmente esce dalla situazione stressante. Una volta superato lo stress, ciò che accade come conseguenza non può essere impedito.

Per prevenire le malattie e cioè abbassare l’intensità dei sintomi nella fase di riparazione, serve agire a monte, con l’obiettivo di limitare la durata e l’intensità dello stress vissuto in fase attiva. A questo scopo, un aiuto concreto nel quotidiano ha a che fare con la capacità di saper accogliere le proprie emozioni e lavorare sull’accettazione di sé e di qualunque evento accada. Poi serve agire per favorire tutto quello che permette di rispettare se stessi e vivere una vita in armonia con i propri bisogni e i propri valori.

Sto parlando di una vita in armonia con il proprio Essere profondo. Rispettare i propri ritmi, avere cura dei propri bisogni fisiologici, conoscere se stessi, saper comunicare e creare relazioni armoniose, lasciare scorrere la vita dentro evitando di ostacolare il proprio movimento vitale interiore, come racconto anche qui. Da tutto quanto ho elencato, diventa evidente che quando aiuto le persone a crearsi una vita armoniosa, non sto affatto dimenticando il mio essere medico al servizio della salute.

Il problema della disconnessione

Spesso ci adattiamo alle situazioni e ai bisogni degli altri perché non siamo più connessi a noi stessi, ai nostri bisogni e ai nostri desideri profondi. Quando ti succede questo non sei molto centrato e vivi in balia degli accadimenti e degli altri. È come lasciare il timone della tua vita al caso.

In tali condizioni, non stai realizzando il tuo potenziale e non metti la ricchezza della tua unicità al servizio degli altri. La vita perde parte del suo senso. Diventa un insieme di obblighi che potresti affrontare come un automa e perdi la grande opportunità di vivere nella gioia.

Poiché non ascolti più te stesso, dimentichi anche di soffermarti sullo stress e sulle varie tensioni vissute. Non ti accorgi di essere in fase attiva di stress e di conseguenza non cerchi nemmeno soluzioni, così la situazione stressante si prolunga. Il corpo, invece, è sempre connesso alla realtà. Sente tutto lo stress e il disagio che attraversi, e agisce per adattarsi e sopravvivere.

Quando non si realizza il proprio potenziale la vita perde parte del suo senso

Cosa fare, invece, per prevenire le malattie e vivere meglio?

Spesso è in qualche modo necessario vivere situazioni insopportabili per ricevere la scossa che permette di capire che è il momento di cambiare. Il cambiamento inizia mettendosi al centro della propria vita.

Un cambiamento che prima di tutto è interiore, perché riprenderai ad ascoltarti, ad accogliere ed esprimere le tue emozioni, a rispettare te stesso, a farti rispettare dagli altri e soprattutto a creare situazioni in sintonia con i tuoi valori. In questo modo getterai le basi per l’espressione del tuo potenziale di gioia, salute e serenità. E potrai prevenire le malattie.

Certamente il mio consiglio è quello di non aspettare una situazione estrema. Molto meglio iniziare prima un percorso per recuperare la legittimità di mettersi al centro della propria vita, riprenderne il timone e lasciarsi guidare dalle proprie sensazioni. Saranno allora gioia e leggerezza, piuttosto che pesantezza e insoddisfazione, a guidarti e inviarti i segnali “giusti”, quelli che comunicano se avvicinarti o allontanarti da certe situazioni, persone, scelte lavorative…

La strategia che ti consiglio per prevenire le malattie consiste nel diventare molto sensibile ai segnali del tuo corpo. Ciò significa ascoltare ad esempio la tensione, le contratture, le intolleranze. Non per nutrire l’angoscia e la paura della malattia ma al contrario per agire in modo tempestivo e uscire da situazioni sgradite.

Potrai così limitare l’intensità e la durata della fase di stress. Di conseguenza sarà molto meno duratura e intensa la fase di riparazione, l’intensità e la durata dell’infiammazione e degli edemi. Quindi saranno meno intensi i sintomi fisici ed emotivi nel complesso.

Ti auguro belle scoperte e sempre maggiore gioia e serenità nel sperimentare la vera prevenzione, quella che include la salute, il benessere e l’espressione del proprio potenziale.

Sicurezza e abbondanza, come farne esperienza

Sicurezza e abbondanza, come farne esperienza

Oggi, a molti sembra impossibile provare un senso di sicurezza e abbondanza. Stiamo attraversando un’epoca difficile che appare ostile al benessere e alla salute. Tante persone percepiscono insicurezza e hanno paura della scarsità. Scarsità di risorse, di tempo, di affetti.

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C’è da dire che le informazioni che arrivano dai telegiornali e in generale dal mainstream sono fortemente incentrate sui pericoli e sui drammi del mondo. Chi guarda la televisione ogni giorno subisce una subdola iniezione quotidiana di violenza, guerre, crimini, tradimenti, disonestà. Questi temi, inoltre, sono quasi onnipresenti nei film di vario genere proposti al grande publico.
Questo bombardamento, a lungo andare, toglie a tanti la fiducia nell’essere umano, nel presente e nel futuro.

Il bombardamento mediatico toglie a tanti la fiducia nell’essere umano, nel presente e nel futuro

Negli ultimi anni la comunicazione che va in questa direzione è stata ancora più martellante e ha nutrito un forte senso di paura per il futuro. Tra il cambiamento climatico, l’inquinamento, la pandemia, la guerra, la carenza di materie prime: le leve per nutrire il senso di insicurezza e scarsità sono numerose. Di conseguenza tanti si sentono sempre più lontani dal provare un senso di sicurezza e abbondanza.

Agire per avvicinarsi a sicurezza e abbondanza

Ci sono vari livelli ai quali si può intervenire quando stiamo male, come ho spiegato nell’articolo Mente sana in corpo sano, sono azioni, emozioni e pensieri.

Il primo consiglio che voglio dare a te che stai leggendo e vivi questa situazione di lontananza dal senso di sicurezza e abbondanza riguarda il primo livello, quello delle azioni.
Si tratta di un modo per cambiare ciò che accade all’esterno. Anche se questo è il livello più superficiale, io non lo trascurerei.
L’azione fondamentale che ti consiglio è: scegli con cura il tuo nutrimento emotivo, intellettuale e spirituale. Con questo obiettivo, ti invito a spegnere definitivamente la televisione. È un metodo molto efficace. Se però questa risoluzione ti sembra troppo drastica, potresti decidere almeno di non accendere lo schermo (grande o piccolo che sia) ogni giorno.
Come sottolineato, questa è un’azione che modifica l’esterno. Personalmente prediligo di più il lavoro sull’interno. Vediamo cosa si può fare per modificare ciò che accade in noi e che predispone a sentirci sempre più lontani da sicurezza e abbondanza.

Cambiare la predisposizione interiore

Se mi conosci già sai che il mio modo di affrontare una situazione difficile, qualunque essa sia, parte dal comprendere cosa va a smuovere in me quella situazione. Suggerisco sempre di chiedersi: perché vivo in modo così stressante questo evento? Eppure, un’altra persona, accanto a me, rimane serena, nonostante il contesto sia lo stesso.

Cercando di definire una domanda più precisa e in linea con il tema di questo articolo è importante chiedersi:
Come posso evitare di essere un terreno fertile per l’attecchimento del senso di insicurezza e scarsità?
Meglio ancora, trasformiamo la domanda in modo positivo, facendo un esercizio molto benefico per il dialogo interiore. Chiediti piuttosto: come posso diventare terreno molto fertile per lo sviluppo del senso di sicurezza e abbondanza?

Il mio obiettivo è quello di fornirti degli spunti di riflessione e dei suggerimenti per trasformare te stesso in un terreno fertile, così che cresca rigoglioso in te il senso di sicurezza e di abbondanza.

Il potere di stare meglio

Sotto molti punti di vista abbiamo un potere quasi nullo rispetto a quello che accade intorno a noi nel Mondo. Sto parlando per esempio dei terribili conflitti in corso. Noi comuni mortali non possiamo certo prendere decisioni politiche. Lo stesso vale per l’arrivo di un nuovo virus, le disposizioni di Legge, le scelte che riguardano il commercio internazionale o le direttive per la salvaguardia dell’ambiente. Invece, abbiamo un potere enorme sul modo in cui viviamo ogni situazione.
Le emozioni sono nostre e siamo noi a crearle, non sono gli eventi esterni a essere responsabili di come ci sentiamo.

Abbiamo poco potere su quanto di brutto accade nel mondo ma abbiamo moltissimo potere su come viviamo la situazione

Una persona, nonostante sia immersa in un contesto bellissimo di pace, serenità e abbondanza, potrebbe comunque sentirsi insicura, arrabbiata e insoddisfatta. E viceversa.

Per chi soffre di insicurezza e senso di scarsità

A volte l’insicurezza è legata al presente e alla situazione reale che stiamo vivendo. In altri casi l’insicurezza riguarda il futuro ed è legata a un pernicioso stato di ansia.
Forse ti capita di fare questi pensieri. “Ce la sto facendo ora, ma ho paura di non farcela domani. Sono vivo ora ma ho paura di morire domani. Ho un tetto sulla testa e abbastanza da mangiare oggi ma ho paura di perdere tutto domani. Ho abbastanza soldi oggi per vivere e garantirmi un buon tenore di vita ma questa cosa potrebbe cambiare. Ho una relazione di coppia e una famiglia soddisfacenti ma non so se durerà”.

La prima azione da compiere è ripristinare la capacità di adattarsi. Vediamo esattamente di cosa si tratta.

Primo passo: la capacità di sapersi adattare

Come primo passo penso sia importante ripristinare la fiducia nella propria capacità di adattarsi ai cambiamenti. Se non hai fiducia nella tua capacità di adattamento, ti ricordo qualche fatto che riguarda proprio la natura dell’essere umano. Adattarsi è qualcosa che fa parte di noi. In milioni di anni, la nostra specie non si è estinta proprio grazie alla capacità di adattamento, che è intrinseca.
In ogni instante il tuo corpo, senza che tu debba minimamente intervenire, si adatta al mondo esterno. E lo stesso fa anche la tua mente, si adatta. Ci adattiamo ai cambiamenti di temperatura, allo spostamento da un luogo all’altro, alle diverse altitudini e latitudini, all’umore che si modifica e così via.

C’è però probabilmente una parte di te, che potrebbe essere rigida e paurosa e bisognosa di controllare tutto, che teme i cambiamenti. Molto probabilmente è questa parte a instillarti il dubbio di non essere capace di adattarti. Chi dà ascolto a questa voce interiore evita di uscire dalla zona di confort ogni volta che può, perché così ha l’illusione di controllare tutto.

L’insicurezza positiva e quella negativa

Da un punto di vista biologico, percepire insicurezza può essere molto utile, ad esempio nel momento in cui ci si confronta con una situazione che va al di là dei propri limiti. Questo accade quando ciò che vivi ti richiede uno sforzo esagerato, tempi troppo rapidi (o magari troppo lenti), un movimento che mette a rischio l’integrità e la salute del tuo apparato muscolo-scheletrico, oppure ancora quando qualcosa ti costringe a un lavoro che per essere svolto ti impedisce di dormire a sufficienza. Anche vivere in un ambiente troppo inquinato o conflittuale può fare percepire insicurezza.

Sentirsi insicuri è biologicamente utile per permetterci di riconoscere e rispettare i nostri limiti. In questo modo possiamo evitare di accettare situazioni in cui mettiamo noi stessi in pericolo.
Ecco un esempio ancora più concreto. Se soffri di vertigini devi essere in grado di rifiutare l’invito a percorrere una via ferrata che si snoda sopra a un enorme precipizio.

Sentirsi insicuri è biologicamente utile per permetterci di riconoscere e rispettare i nostri limiti

Attenzione: quando si lavora a livello biologico, la capacità di riconoscere i propri limiti comprende quelli superiori, certo, ma anche quelli inferiori.
Questa capacità biologica ci permette di essere in contatto con la realtà nuda e cruda. Evita che la mente ci imbrogli e che ci faccia pensare di non essere capaci di qualcosa che invece possiamo fare benissimo.

Secondo passo: ripristinare la propria integrità

Ripristinare l’integrità è uno dei tre potenziali biologici pilastri, e si va a verificare quando un terapeuta lavora con la Biokinesiologia.

Perdiamo la nostra integrità quando siamo feriti fisicamente, a causa di un taglio, una frattura, una malattia eccetera. Possiamo anche perdere la nostra integrità a vari livelli: emotivo, sentimentale, sessuale, intellettuale, sociale, spirituale.
Succede a tutti di essere feriti, non possiamo immaginare di trovare un modo di vivere che eviti qualunque ferita, anzi… Sarebbe una situazione di restrizione tale da impedire lo stesso scorrere naturale della Vita, l’espressione della nostra anima e la nostra realizzazione in questa esperienza terrestre. Un intento che si rivela distruttivo e dannoso. Come voler mettere un bambino al riparo sotto una campana di vetro.

Liberare la capacità biologica bloccata

Un obiettivo molto più costruttivo, interessante e vitale è invece quello di liberare, quando è bloccata, la capacità biologica e naturale di ripristinare la propria integrità.
Di cosa si tratta? Sto parlando della fiducia che se ti dovessi ferire, hai in te il processo naturale biologico per guarire, che agisce senza che tu debba intervenire mentalmente. Un processo che permette di guarire, di cicatrizzare, di ripristinare la tua integrità, senza problemi.
Se non ho la fiducia che il mio organismo abbia questa capacità, vivrò un senso di insicurezza profondo. In modo inconscio avrò paura di ferirmi a vari livelli, andando incontro di volta in volta agli eventi della vita.

Senza la fiducia nella tua capacità biologica di ripristinare l’integrità vivrai un senso di insicurezza profondo

Un esempio dalla Natura selvaggia

Prendiamo l’esempio di un animale selvaggio. Se un animale è ferito fisicamente non può spostarsi, andare a caccia, alimentarsi, scappare o affrontare un predatore o un altro pericolo. Non può nemmeno riprodursi. Ovviamente tutte queste limitazioni espongono l’animale a un senso di vulnerabilità, insicurezza e scarsità che sarà superato con la guarigione. Quando l’animale avrà ripristinato la sua integrità fisica, svaniranno insicurezza e altri disagi.

Per completare la spiegazione di come la perdita di integrità porti a vivere un senso di scarsità, possiamo immaginare un individuo come un secchio. Se questo secchio è bucato (cioè ha perso la sua integrità) non riuscirà a riempirsi. In queste condizioni, come sentirsi colmi, appagati e soddisfatti da quello che riceviamo?
I buchi sono le nostre ferite non guarite, non elaborate.

Mancanze che restano impresse

Conosco un cane, trovatello, a cui sicuramente è mancato il cibo. Nonostante siano passati sei anni da quando è stato adottato, ancora oggi si tuffa sulla sua ciotola e continua a chiedere da mangiare anche quando non ha più fame. Può sembrare incredibile, ma dorme addirittura abbracciato alla sua ciotola. La carenza di cibo non è più una realtà, ma questa mancanza si è impressa nella sua memoria.
Un cane che non ha memoria di scarsità di cibo o ferite che hanno alterato il suo senso di integrità, mangia, digerisce, dorme, e quando sente che il suo stomaco è vuoto, chiede da mangiare o va a caccia per procurarsi il cibo, senza “ansie”.

Dal punto di vista biologico, il processo della paura che manchi il cibo e si possa morire di fame è uguale a quello della mancanza di denaro ma anche della mancanza affettiva, di amore, di supporto, di riconoscimento. È sempre una memoria che si esprime, indipendentemente dalla situazione reale presente.

Immaginiamo che la persona o l’animale sia come un secchio. Se è bucato, non si può riempire. Aumentare la quantità di cibo nella ciotola del cane trovatello non avrebbe nessun effetto sul comportamento del cane. Mettere a disposizione della persona abbondanza di denaro, amore, sostegno, riconoscimento o qualunque altra cosa di cui sente la mancanza non basterà. Non sarà mai sufficiente a trasmettergli un senso di abbondanza e completezza.
Serve prima di tutto lavorare sul ripristino dell’integrità del secchio, perché torni a essere stagno. Ripristinare l’integrità è molto importante per fare l’esperienza di uno stato di sicurezza e abbondanza.

Ripristinare l’integrità è molto importante per fare l’esperienza di uno stato di sicurezza e abbondanza

Gli approcci terapeutici efficaci

Puoi utilizzare qualunque approccio terapeutico che permette di elaborare le tue ferite emotive, i drammi passati che hanno lasciato memorie. Amo lavorare alla radice e privilegio gli strumenti che permettono di farlo sia sul passato personale sia sul passato genealogico.

La Biopsicogenealogia come strumento per favorire sicurezza e abbondanza

Quando una persona vuole lavorare sul suo senso di insicurezza e scarsità e così aprirsi all’esperienza di sicurezza e abbondanza, cerchiamo quelli che possiamo immaginare come “buchi”.
L’indagine che si fa in biopsicogenealogia avrà come obiettivo ritrovare e guarire le ferite e le situazioni vissute nel passato personale o genealogico, che hanno lasciato quel senso di insicurezza e/o scarsità. Affinché questa memoria del passato possa lasciare spazio alla situazione reale presente.
Spesso, la consapevolezza della ferita permette di elaborala e di conseguenza avviene la trasformazione.

Un altro strumento altrettanto interessante, la Biokinesiologia

Quando invece la consapevolezza della ferita non basta a guarirla, serve uno strumento che ha accesso alle memorie inconsce della persona. Nella mia esperienza la Biokinesiologia è molto interessante.
Abbiamo visto che essere capace di adattarsi ai cambiamenti, conoscere e rispettare i propri limiti, ripristinare la propria integrità, sono potenziali biologici che, quando liberi di esprimersi, favoriscono il senso di sicurezza e abbondanza. Come dicevo, la Biokinesiologia è uno strumento che permette di liberare i potenziali biologici bloccati.
Seguendo le indicazioni del corpo e attingendo alle memorie inconsce, la Biokinesiologia permette di liberare emozioni bloccate che impediscono di attingere e esprimere un potenziale biologico specifico.
È il corpo a portarci sulla linea del tempo nel nostro passato personale e attraverso quello dei nostri antenati, per scoprire e sciogliere le emozioni prioritarie e dominanti bloccate, che impediscono di vivere il senso di sicurezza e abbondanza.

Agire nuovamente sull’esterno

Quando avrai lavorato su di te perché il tuo terreno sia fertile al senso di sicurezza e abbondanza, in un secondo momento, potrai capire se realmente c’è carenza di cibo, amore, sostegno, denaro, riconoscimento o qualunque cosa di cui senti la mancanza oggi.
Se si verifica che realmente c’è una carenza, potrai (a seconda della situazione) adattarti, agire, scappare o muoverti per cambiare la situazione e sarai efficace.

Dopo aver lavorato su te stesso saprai se davvero c’è una mancanza nella tua vita

In conclusione…

Attraversiamo nel corso della vita un’infinità di eventi. Quando lavoriamo unicamente sulle situazioni esterne, tralasciando il lavoro su noi stessi, ci ritroviamo a spendere tutta la nostra energia su quanto accade al di fuori di noi. Il mondo esterno è qualcosa di mutevole e che ha infinite evoluzioni possibili, che portano altri problemi e rendono necessaria altra energia, altra creatività, altre soluzioni specifiche.

Nel corso della vita, però, c’è un elemento che sarà sempre presente: te stesso. Conoscere se stessi e lavorare su di sé, oltre a essere possibile per chiunque, è un investimento che permette di raccogliere benefici utili per il resto della vita.

Il sistema famigliare e il potere di guarire l’albero genealogico

Il sistema famigliare e il potere di guarire l’albero genealogico

Che cos’è un sistema famigliare? In questo articolo voglio approfondire il tema del sistema famigliare e condividere con te conoscenze e competenze fondamentali per guarire l’albero genealogico. Di solito è chiaro a tutti che il nostro presente è influenzato da quello che viviamo in questo momento e dal nostro passato personale. Invece non tutti sono consapevoli del fatto che il passato della nostra linea genealogica conta anch’esso.

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Biokinesiologia, Biocostellazioni, Biopsicogenealogia: sono tutti strumenti di aiuto che sono solita usare e che hanno come denominatore comune il fatto di prendere in considerazione l’importanza del vissuto degli antenati.

Cosa è successo prima di te?

Ciò che hanno vissuto i tuoi antenati ha un grande potere, quello di influenzare la tua vita. Tramite il DNA (l’acido desossiribonucleico che costituisce i nostri geni), oltre ad aspetti fisici come il colore degli occhi, erediti dagli antenati talenti, risorse e qualità ma anche emozioni non accolte e ferite non guarite. Vale per tutti noi.

Forse la mia affermazione ti stupirà: a volte, parte del nostro sentire, che condiziona la nostra vita, può appartenere non propriamente a noi ma piuttosto a un nostro antenato. Tante emozioni o sensazioni possono derivare proprio da questo: una rabbia interiore che non ci spieghiamo, un senso di ingiustizia, un senso di esclusione, di solitudine, la tendenza a fallire, l’impossibilità di imporre dei limiti eccetera.

Parte del nostro sentire può appartenere non propriamente a noi ma piuttosto a un nostro antenato

Si può fare qualcosa per non subire queste eredità? La consapevolezza di come stanno le cose può essere il punto di partenza di un lavoro in grado di sciogliere i condizionamenti e i legami limitanti con alcuni antenati. In questo articolo mi concentro su un aspetto specifico del lavoro che puoi scegliere di fare.

Le costellazioni famigliari e la legge di appartenenza

Ho imparato dallo strumento delle costellazioni famigliari ideato da Bert Hellinger che un aspetto fondamentale per stare bene è essere al proprio posto all’interno del tuo sistema.

Quando si parla di sistema si intende l’insieme di persone di cui fai parte. Il primo sistema di appartenenza è proprio il sistema famigliare. Il tuo posizionamento all’interno del tuo sistema di origine condiziona tutte le dinamiche che puoi mettere in campo in altri sistemi: sul lavoro, in coppia, con gli amici e così via. È proprio per questo che la famiglia di origine, che include gli antenati, è il sistema di cui voglio parlarti con questo articolo.

Quando si ha l’obiettivo di essere al proprio posto, il primo passo da compiere è quello di riconoscere l’appartenenza di ogni membro al sistema famigliare stesso. Si tratta di qualcosa di molto importante: nessuno deve essere escluso. Il senso di appartenenza, infatti, è uno dei principi fondamentali nel lavoro con le Costellazioni Familiari.

La Legge dell’Appartenenza recita: “ogni membro di un sistema familiare ha diritto di fare parte del sistema-famiglia e conseguentemente nessuno può esserne escluso, per nessun motivo”.

Approfondiamo il concetto

In pratica, tutti i membri di una famiglia hanno lo stesso diritto di appartenere a quella famiglia, è un diritto irrinunciabile, che si acquisisce per il semplice fatto di essere stati concepiti da due membri appartenenti al sistema famigliare. Qualunque siano le azioni, il destino, le scelte di ogni persona, niente può giustificare il non rispetto di questa legge di appartenenza. Nessuno va escluso, ognuno va rispettato e onorato qualunque sia il suo destino.

Attenzione, c’è una precisazione importante che voglio farti. La Legge dell’Appartenenza non implica che tu debba per forza essere in contatto fisicamente con tutti i membri del sistema famigliare. Sono consapevole che esistono molte situazioni in cui è fondamentale prendere le distanze, ad esempio quando si ha a che fare con una persona violenta. Senza rinnegare, però, la sua appartenenza al sistema.

Cos’è esattamente il sistema famigliare?

Il primo sistema di appartenenza è la tua famiglia di origine, che comprende i membri della tua famiglia e non solo. Vediamo insieme chi dobbiamo prendere in considerazione.

  • Te, i tuoi fratelli e le tue sorelle. Nel contare fratelli e sorelle dobbiamo includere anche: i fratelli e le sorelle nati fuori dal matrimonio dei nostri genitori, cioè quelli illegittimi ma anche quelli nati da unioni successive o precedenti; i fratelli e le sorelle morti, sia quelli nati morti sia quelli abortiti (intenzionalmente e non), fratelli e sorelle dati in adozione o adottati, fratelli e sorelle disconosciuti per qualunque ragione, nessuno escluso;
  • i tuoi genitori biologici, i loro fratelli e sorelle naturali, compresi quelli morti (anche per aborto), abbandonati, dati in adozione o disconosciuti, fratelli e sorelle dei genitori che siano stati adottati;
  • i partner precedenti dei tuoi genitori e i genitori adottivi;
  • i nonni, anche in questo caso inclusi i fidanzati o i coniugi precedenti.

Il primo sistema di appartenenza è la tua famiglia di origine

Un gruppo allargato

Secondo Bert Hellinger appartengono al nostro sistema tutte le persone di sangue, cioè i nostri famigliari, ma anche le persone che hanno contato per noi e per loro.

Ti faccio alcuni esempi, così da chiarire. Fanno parte del gruppo persone verso cui ti senti in debito per varie ragioni. Oppure persone che rifiuti, che escludi (anche solo perché ti rifiuti di nominarle o cerchi di dimenticarle), individui che hai scelto di disconoscere.

Poi ci sono coloro che hanno assassinato un membro della famiglia, oppure che hanno commesso un delitto grave nei tuoi confronti o di qualcuno appartenente al tuo sistema famigliare. Bert Hellinger chiarisce anche che nel sistema famigliare rientrano persone che con il loro sacrificio hanno contribuito al benessere collettivo di quel gruppo.

Per esempio la prima moglie del nonno di Sara, morta giovane, che con la sua morte ha “permesso” all’antenato di Sara di incontrare un’altra donna e creare con lei una famiglia, dalla quale Sara discende. Se questa prima moglie non fosse morta Sara non sarebbe mai nata.

Cosa comporta l’esclusione?

Se eventi o persone del nostro passato genealogico ci disturbano tanto da volerli cancellare, dobbiamo sapere che qualunque cosa noi pensiamo o facciamo, le memorie continuano a esistere e a esercitare la loro influenza. Più cerchiamo di ignorarle e farle tacere più saranno rumorose, parlandoci attraverso malesseri, malattie e ostacoli, impedendoci di esprimere appieno il nostro potenziale di gioia e benessere.

Le memorie hanno una influenza più forte quanto più cerchiamo di cancellarle

Per liberarsi dal peso di queste memorie dobbiamo accettare di riconoscerle e accoglierle nel nostro cuore, sospendendo il giudizio.

Il meccanismo di Irretimento

Quando una persona del clan è stata esclusa o coinvolta in un evento che viene “rifiutato” da tutti gli altri, un membro del clan delle generazioni successive si incarica inconsciamente di riportare l’escluso, o l’esclusa, nel clan. Accade per esempio con un nonno che si è suicidato e nessuno ne parla perché viene considerata un’azione vergognosa, vedremo alcuni esempi dettagliati più avanti.

Come avviene tutto ciò? Il discendente si identifica, sempre inconsciamente, nell’escluso. Il fenomeno, nelle costellazioni famigliari, si chiama appunto Irretimento. La persona irretita è bloccata nel proprio movimento di Vita, si sente in trappola ed è come condannata a fare quello che, a un livello sottile, il sistema gli impone di fare… Vivere le stesse emozioni, attitudini, scelte dell’escluso. Questo perché chi è stato “scacciato dal clan” sia finalmente riportato nel sistema. L’Irretimento impedisce alla persona di vivere liberamente il proprio destino, il che è fonte di profondo disagio, malesseri e malattie.

I segreti di famiglia, che sono il tipico sintomo di eventi rifiutati, dei quali ci si vergogna, favoriscono gli irretimenti più pesanti e distruttivi.

Esclusione, volontaria e non

L’esclusione di qualcuno dal sistema famigliare può anche essere involontaria. Un bambino morto del quale non si sa nulla, perché nessuno ne ha più parlato, non è stato escluso in modo premeditato, ma il fatto che tutti lo abbiano dimenticato è una forma di esclusione.

Nella storia dei tuoi antenati vari eventi possono non essere stati accolti, nel momento in cui sono accaduti, perché troppo dolorosi. Di conseguenza hanno lasciato la traccia dell’esclusione nel sistema famigliare.

Per esempio: lo zio di Luigi di cui non si è più parlato perché è finito in manicomio, o la nonna di Rita, sulla quale cala un silenzio imbarazzato se si nomina la sua morte perché si è suicidata e nessuno ha elaborato l’accaduto a livello emotivo. Oppure il bambino concepito fuori dal matrimonio dalla prozia di Rachele, in un’epoca in cui le regole sociali lo consideravano scandaloso.

Come guarire l’albero genealogico?

Nella strategia che ti propongo, il primo passo è quello di ricostruire il tuo albero genealogico. Puoi iniziare semplicemente risalendo fino ai nonni, comprendendo cioè tre generazioni. L’atto di mettere su carta il proprio albero genealogico è l’opportunità di rimettere ognuno al proprio posto, senza escludere nessuno. È importante inserire (ovviamente) le persone allontanate, i bambini abbandonati, non nati (aborti spontanei e provocati), nati morti, le persone disperse, quelle bandite. Metti i nomi anche di tutti coloro che sono stati giudicati, quelli di cui i tuoi cari si sono vergognati.

Segui queste regole:

  • inserisci ogni nome nell’ordine di arrivo su questa terra. Ad esempio, da sinistra a destra, si posiziona il primo fratello poi i successivi, seguendo l’ordine cronologico;
  • trova per ognuno la data di nascita e di morte quando occorre.

Cosa puoi fare grazie all’albero genealogico

Il secondo passo è più impegnativo. Quando avrai una visione d’insieme del tuo albero, con ognuno al proprio posto, lavora per accogliere ciascuno nel tuo cuore, riconoscendo che fa parte del clan e della tua storia.

Una volta messo nero su bianco l’albero, avrai una visione globale del sistema famigliare cronologicamente più vicino a te. Potrai quindi “entrare” nell’albero genealogico e riconoscere l’esistenza di ogni membro del clan, accettando e comprendendo che il passato di ciascuno di loro influenza la tua storia e quello che sei oggi.

Da questa consapevolezza è possibile scegliere di agire a livello personale, per raggiungere un equilibrato livello di accettazione, amore e integrazione, affinché le emozioni e le informazioni raccolte sul passato e rimaste in sospeso possano fluire liberamente sulla linea del tempo. Tutti gli insegnamenti di queste esperienze positive e negative potranno allora arrivare fino a te. La necessità di riprodurre le stesse dinamiche o portare pesi che non sono tuoi lascerà allora spazio alla libertà di compiere il proprio destino, il ché da accesso a maggiore benessere e vitalità.

Il potere dell’accettazione e del riconoscimento

Questo lavoro, che può essere un semplice intento del Cuore, ha un potere molto grande nello sciogliere rabbie, frustrazioni, ingiustizie, dolori cristallizzati e schemi comportamentali predefiniti. Libera energia, luce, vitalità alle quali finalmente potrai accedere nel presente.

Liberi dal compito di vivere nel dolore per onorare gli antenati esclusi, dimenticati o giudicati, tutti noi possiamo seguire il sentiero della nostra vita, verso la piena realizzazione del nostro potenziale di salute, gioia e serenità.

Se desideri un aiuto per intraprendere questo cammino di liberazione, ho creato un laboratorio intitolato Costruire e guarire l’albero genealogico. Guarda quando sarà il prossimo sulla pagina Eventi.